Statuto
Attività
AlternativArt
Publicazioni
Alessio Varisco
Biografia
Mostre effettuate
Bibliografia
Presentazioni
Critiche
Recensioni
Consensi
Animali
Cavalli della libertà
I Cavalli Andalusi
I quattro cavalli dell'Apocalisse
Altri animali
Separatore
Separatore
Separatore
Paesaggi
Engadina
Paesaggi marini
Albe e Tramonti in Umbria
Percorsi
Grafo e Segni
Fotografie
Separatore
Theokotos
Creaturalità
Separatore
Separatore
I volti
Te Deum
Separatore
Vai al Sito di Teodolinda Varisco
Milano, 26 maggio 2003
Divinità, uomini e cavalli (di Franco Buzzi)
     

«Forse nessuna epoca come la nostra ha mai avvertito con tanta intensità la straordinaria vicinanza che intercorre tra il mondo degli uomini e quello degli animali, benché nell’antichità non manchino, a farci riflettere, gli esempi emblematici e istruttivi delle favole di Esopo e di Fedro. Per altro, anche nel mondo cristiano, san Francesco d’Assisi si compiacque di celebrare, da tutt’altra angolatura, l’universale fraternità che lega in stabili e armonici rapporti reciproci le creature di Dio, rinviandoci all’idillio paradisiaco decantato dagli antichi profeti: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto..., un fanciullo li guiderà» .

Oggi i progressi dell’etologia ci hanno abituati a comprendere i nostri comportamenti a partire anche dall’organizzazione, sorprendentemente complessa, che vige nel mondo degli animali, benché non possiamo dimenticare che siamo pur sempre noi, per primi, a interpretare il comportamento degli animali servendoci di modelli cognitivi e culturali da noi stessi appositamente elaborati per leggere il mondo dei rapporti propriamente umani. In ogni caso, entro questo circolo ermeneutico interessante che implica elaborate operazioni nel campo della conoscenza, noi tutti, per esperienza comune e spontanea, ci sentiamo in profonda empatia, per esempio, con gli animali domestici di cui amiamo circondarci. Un intenso scambio di affetti e un potente investimento di sentimenti ci coinvolge nel rapporto con gli animali che vivono nelle nostre case o con i quali abbiamo una certa consuetudine di vita legata, poniamo, ai nostri passatempi o addirittura agli sport agonistici.

Nel novero di questi ‘amici’ non facciamo fatica a riconoscere un posto privilegiato al cavallo. Fin dai primordi dell’umanità sembra essere esistita una relazione di particolare intensità tra l’uomo e il cavallo. Documenti preistorici e storici ne segnalano la presenza agli albori delle civiltà più antiche. In tutte le culture, dall’Occidente all’Oriente, esistono segni, letterari e artistici, assai qualificati che esaltano la bellezza, la forza e il fascino di questo nobile animale, nel quale l’uomo ha ben presto ravvisato qualcosa di grande e addirittura di divino . Non era forse, presso i Greci e i Romani, il dio Poseidone-Nettuno ad essere assimilato al cavallo? E la moneta d’oro della tribù gallica dei Veliocassi non raffigura forse il cavallo sotto l’influsso radioso del sole, cioè sotto l’azione della presenza divina? E come mai, nel mondo orientale, il cielo della mitologia cinese è popolato di cavalli divini? E perché in India il cavallo bianco, Kalki, è considerato la decima incarnazione di Visnù, mentre in Giappone l’antico cavallo bianco di Iyégas è venerato ab immemorabili nel grande tempio di Nikko? Basterebbe del resto sfogliare i libri di archeologia e di numismatica antica, la vastissima letteratura sui simboli e sui misteri legati alle religioni del mondo, come pure più specificamente gli studi sulla mitologia, i vari bestiari, i trattati e i dizionari d’iconografia cristiana per renderci conto che sull’argomento sono letteralmente già scorsi fiumi d’inchiostro.

Qui mi guarderò bene dall’affrontare il tema secondo l’ampiezza delle sue molteplici suggestioni. Mi limiterò soltanto a ricordare che, già nel grandioso pensiero di Platone, alla figura del cavallo è riservato un posto simbolico di eccezionale importanza, proprio in stretta connessione con il discorso che il grande filosofo greco svolge sulla realtà dell’anima umana. Infatti, nel Fedro, Platone paragona l’anima a un cocchio, trainato da due cavalli, che sono governati da un auriga. Questi impersona il nous cioè l’intelletto, o anima intellettiva, mentre i due cavalli rappresentano l’ardore-coraggio (thumòs) e il desiderio-passione (epithumìa). L’ardore si identifica con il cavallo buono, che è «di forma lineare e ben strutturato, dal collo retto con narici adunche, bianco a vedersi e con gli occhi neri, amante di gloria con temperanza e con pudore e amico di retta opinione; non richiede la frusta e lo si guida soltanto con il segnale di comando e con la parola». La cieca passione, invece, si identifica con l’altro cavallo che è «storto, grosso, mal formato, di dura cervice, di collo massiccio, di naso schiacciato, di pelo nero, di occhi grigi, iniettati di sangue, amico della protervia e dell’impostura, villoso introno alle orecchie, sordo; a stento ubbidisce ad una frusta fornita di pungoli» . È evidente il significato di questa parabola filosofica: ognuno di noi, sollecitato da inclinazioni buone e cattive, sperimenta quanto sia difficile orientare il corso della propria vita in modo tale che in essa il criterio della saggezza razionale ci faccia percorrere vie di salvezza e non di perdizione. Qui si riconosce candidamente che le energie vitali dentro di noi hanno mobilità, forza e destrezza, docilità – oppure, al contrario, riottosità – simili a quelle che possiamo vedere in singoli cavalli assai diversi per temperamento. I due destrieri attaccati al cocchio dell’anima – così ben descritti da Platone nei loro tratti fisiognomici salienti – sono chiari emblemi di aspetti particolari contrastanti, realmente e simultaneamente presenti nell’anima umana. È in ogni caso interessante (e non smette di far pensare!) il fatto di avere messo in relazione simbolica l’anima con i cavalli.

A un altro universo di significati approda invece il patrimonio biblico dei testi che simbolicamente si richiamano alla figura del cavallo. Nella rivelazione ebraico-cristiana vige, infatti, una generale concezione del mondo radicalmente segnata dal principio della trascendenza di Dio creatore e dalla forma storica della sua manifestazione all’uomo. Entro le traiettorie segnate da queste due verità fondamentali si configura il complesso linguaggio simbolico che riguarda anche la presenza del cavallo nel mondo degli uomini. Qui, a sostenere il legame che intercorre tra questo ‘animale amico’ e il mondo divino, non è più – come invece accade in molte civiltà antichissime – l’umanità angosciata che, attraverso miti e leggende meravigliose, grida il proprio immenso bisogno di una luce più alta, ma è Dio stesso che, attraverso i profeti e i sacri autori, si serve simbolicamente dell’immagine del cavallo per comunicare agli uomini i propri disegni salvifici. Nella logica di questa comunicazione divina l’immagine simbolica del cavallo svolge costantemente una funzione mediatrice tra il mondo divino e quello degli uomini ai quali, in tappe successive, viene rivelato il proprio destino storico-salvifico. Per addurre un esempio, il profeta Zaccaria afferma: «Ebbi una visione durante la notte: ecco, un uomo era montato su un cavallo rosso, egli stava tra i mirti in un luogo ombreggiato, e c’erano dietro a lui dei cavalli rossi, sauri e bianchi...» . Poi il profeta identifica l’uomo sul cavallo tra i mirti con «un angelo di Jahvé» e l’insieme dei cavalli alle sue spalle con un esercito di angeli al suo seguito. A parte la fragranza dell’immagine – di una bellezza, diremmo, veramente ‘da sogno’ –, qui è chiaro che il cavallo e i cavalli partecipano assolutamente del valore simbolico dei loro cavalieri, come se formassero con loro un corpo solo, riuscendo pienamente coinvolti nella loro funzione di ‘angeli’, vale a dire, di ‘messi’ o ‘inviati’ divini. La medesima logica simbolico-funzionale investe «i quattro cavalli» dell’Apocalisse , il libro in assoluto più profetico del Nuovo Testamento. L’esegesi cristiana, nel corso dei secoli, non ha mai smesso di affaticarsi sui testi di questo libro, il cui sigillo – credo – potrà essere compiutamente sciolto soltanto al secondo avvento del Signore. Va solo notato che, dei quattro cavalli, di cui uno bianco, uno rosso fuoco, un altro nero e l’ultimo di colore verdastro, furono soprattutto il cavallo bianco e quello rosso a riscuotere grandissimo interesse, nella storia del cristianesimo, da parte dei commentatori e degli interpreti. Del resto questi due cavalli con i loro rispettivi cavalieri, per il valore straordinariamente positivo di cui appaiono rivestiti, rimandano spontaneamente alla figura e alla missione redentrice del Messia, il Verbo di Dio, il «Fedele» e «Verace». Per esempio, in perfetta linea con la suddetta identificazione simbolico-funzionale di cavallo e cavaliere, Rabano Mauro (780-856), abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, ci dà un esempio stupendo di profondissima esegesi cristiana quando afferma che il Cavallo bianco dell’Apocalisse rappresenta la stessa umanità di Cristo a lui intimamente unita e rifulgente di santità: Equus est humanitas Christi, ut in Apocalypsi: “Ecce equus albus”, id est, caro Christi omni sanctitate fulgens . Nondimeno, fin dai primordi del cristianesimo, in epoca ancora pre-costantiniana, precisamente negli affreschi decorativi delle catacombe romane, il cavallo figura senza dubbio anche come l’emblema del cristiano che si impegna a seguire fedelmente Cristo, suo maestro. Per questa via, viene ricuperata nel mondo cristiano anche la simbologia platonica del cavallo che era segnatamente di tipo antropologico. C’è però una correzione di fondo: ora il cavallo, assunto per altro come simbolo meramente positivo, non significa più soltanto una parte dell’anima umana – come ancora accedeva nel Fedro di Platone –, ma esprime simbolicamente la totalità della persona credente che cerca e trova la propria identità nella sequela di Cristo.

Anche Alessio Varisco, maestro d’arte e professore di religione, inserendosi con onore in un’immensa e altissima tradizione iconografica , ci offre in questo catalogo la sua interpretazione pittorica, nella quale riversa i tratti personalissimi della sua straordinaria capacità di introspezione psicologica congiunta a rara abilità anatomico-descrittiva. Le fattezze particolari della sua opera e il dispiegamento simbolico del suo discorso potranno essere facilmente gustati da tutti coloro che vorranno scorrere le pagine di questo catalogo approntato con cura dalla benemerita Casa Editrice Técne Art Studio®».

     
 

Mons. Prof. FRANCO BUZZI
(Dottore Biblioteca Ambrosiana di Milano, Direttore Accademia San Carlo, Presidente Emerito dell'Associazione Culturale Técne Art Studio)

 
  Top  

Techne Studio

  Credits   Faq   Contatti