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Bagnoregio, 1 giugno 2000

Galleria "Casa del Vento",

Centro Culturale "Bonaventura Tecchi"

Realizzazione e coordinamento:

Técne Art Studio

Patrocinio:

Provincia di Viterbo,

Comune di Bagnoregio - Assessorato alla Cultura

Alessio Varisco  

Saluto del Sindaco dr. ERINO POMPEI e dell'Amministrazione Comunale all'Artista.

INTRODUZIONE DELL’AUTORE «Io debbo cominciare dal percorso che ha inizio dalle mie origini, che si può recuperare anche da questi tratti qui esposti. La gestazione della mostra è inferiore alla molteplicità di ricerche che l’hanno preceduta e vi chiedo uno sforzo a seguire questo mio descrivervi i diversi passaggi che l’hanno motivata e generata.
Le esperienze prime sono proprio “primissime”, poiché avevo solo undici anni quando ho iniziato a fare l’olio, che m’ha appassionato come tecnica ed è forse quella che più adotto. La mia Mamma dipinge, è pittrice espressionista e figlia d’arte, il nonno pittore futurista ed ho da sempre respirato i colori ad olio –che tanti dicono essere tossici-. È una tecnica a me congeniale perché plastica ed estremamente materica, molto utile su tela, rispetto un acquerello che utilizzo per i bozzetti, ma soprattutto il tratto che impiego per layout e disegni di copie dal vero.

ACQUA
Le mie esperienze prime sono queste marine. Il mare dà questa sensazione della luminosità delle cose. Il mare è un po’ il significato stesso del nostro esistere anche nei percorsi laddove alcune impressioni visive mi vengono dalle pratiche subacquee di apnea, soprattutto quelle luci radiali che dalle profondità tra le scogliere creano giochi di luci e riflessi abbaglianti e qui ritornano attraverso alcuni dei presenti quadri. Senza andare a recuperare la storia, si pensi al Mar Nostrum ed al dominio e declino delle popolazioni marinare, le guerre romane e le strenue difese contro i pirati, le scorrerie dei Mori e le Guerre Sante: mare come strumento veicolare dei nostri percorsi, delle rotte. Oppure la mitologia che celebra il mare quale figura mitica ed onirica nel viaggio dell’uomo, si pensi all’Odisseo… Ecco dunque è un po’ questo il mio percorso: il mare dei classici, delle origini, dei miti, l’arcano, delle epopee, delle divinità, della paura e della gioia dopo la pesca. Ho iniziato a pensare di allestire questa mostra in un modo un po’ particolare che supera la mera esposizione “monografica”, che tentasse di coinvolgere e di stupire. L’allestimento scenico curato da Técne Art Studio mediante le reti che son esposte ci richiamano a questo ambiente caldo e familiare, ma ostile ad un lombardo, alieno all’esperienza di tutti i giorni. La sfida era quindi creare una sorpresa nello spettatore, in voi. Il telos è di duplicare un poco il senso della richiesta di Daniele in quella sua stupenda molto semplice come dice lui –a me non pare- sintetica, ma descrittiva dall’altro lato senza troppi tecnicismi che andava appunto al centro delle cose. Quest’esperienza delle reti che ci accompagna, con le conchiglie, pensieri liberi e quindi pacifici come diceva Daniele. La rete è il simbolo più munifico e positivo: consente la sopravvivenza ed è sussistenza operosa.

TERRA
Al fianco di queste vicende “prime” ho messo molte altre ed il discorso appare abbastanza semplice. Io dal canto mio ho elaborato questi percorsi rifacendomi allo studio degli antichi, delle antropologie, ho frequentato l’Istituto sperimentale d’arte di Monza, e quest’oggi è per me un onore avere al mio fianco due miei docenti, con loro ho avuto più modo di comunicare e c’era proprio la dimensione del convivio in questa scuola. C’era la dimensione di un qualche cosa che trascendeva la normale vita scolare e di apprendimento come è invece per questi miei ragazzi di Ragioneria e Geometri. Era un’esperienza più coinvolgente, totalizzante, non solo per il carico orario –sino a quarantaquattro ore settimanali-, che certamente m’ha dato tanto e non l’ho saputo –vivendola- sfruttare fino all’estremo, e dicevo dell’amico scultore che è molto più semplice di me, molto meno complesso ed apprezzo è per quello che ho voluto fare con lui questa mostra, c’è in lui questa purezza infinita che non ha bisogno di spiegarsi, ma che riesce mediante l’abilità delle mani a modellare questa terra. Questa terra da cui veniamo e a cui torniamo, c’è questo significato della vita in queste terre; sono perciò figure calde, vive è per quello che ho voluto condividere con lui questa gioia. L’Esodo è in questo senso. Ma l’esodo è anche non del pensiero, ma della formazione culturale; io insegnando a questi ragazzi devo comunicare delle esperienze storiche, antropologiche e religiose che siano parificate ed assimilabili, cioè debbo comunicare delle cose che non siano troppo lontane da loro. Per cui il mio sforzo maggiore in tutti gli anni delle superiori è stata l’esigenza di racchiudere in tre forme semplici, grafiche, le forme del nostro parlato. Per cui ho pensato, poi studiandola accademicamente, all’epistemologia semplificandola al massimo, andando all’essenza del “comunicabile”, senza sillogismi o cose ancora più complesse, ma invece penetrando fino ad arrivare alla forma nuda del parlato. Ecco allora il parlato: semplice, secco e contorto. Tre segni –o meglio “grafo/segni”: una linea curva verso un punto, una linea seccamente diretta verso il punto ed una ondulata. La linea diretta è incisiva è marcata ed è quello secco, esclamativa; la linea ondulata è questo mio discorso -ovvero dis-currere-, questo mio correre attraverso un poco vagabondando; ed infine l’estrema semplicità, questa dimensione aurea, questa perfezione che ci viene dalla natura e che ci viene dal Logos. Per i cristiani –diciamolo pure- è il Cristo la Vera Parola che ci edifica. La mia linea è dunque trasfusione di questa semplicitas che interpella e crea dando origine alla vita (si pensi nel vangelo giovanneo all’episodio del pozzo ed alla donna di Samaria).

ARIA
Tra quelle forme estremamente semplici, quasi grafiche, Lino Gerosa che è qui presente mi fu maestro. Ogni mostra la si accompagna anche graficamente ed è auto-graficazione perché c’è l dimensione di quest’arte che vivifica. Técne Art Studio siamo noi e collaborano quest’oggi insieme a noi: Michele con le sculture, ha collaborato negli intermezzi Stefano con la sua chitarra, Daniele presentando e tutti voi che siete presenti per creare questa osmosi. Non di un’arte mercenaria si tratta -ovviamente- nel senso deteriore del termine (né tantomeno concettualistica), che invece si amplia. La mostra che vedete è il frutto di un’arte che non si ghettizza, che non ha paura, ma che vuole invece unificare i diversi modi di fare arte; per cui la scultura, con la musica, estremamente libere entrambe: Bach con la Bourré che mi dà la dimensione di questo “erchomai”, un verbo greco di movimento, questo andare verso –che dicevo prima-, di questa esigenza di trasfondere nella musicalità di ogni giorno la nostra esperienza personale, la nostra forza interiore. Da quelle forme del “parlato” che adesso io sto attuando nella sua forma più contorta –e mi auguro non di ciascuno di voi questa critica che potreste muovermi- è insindacabile il riferimento scevro di ogni aspetto erotico e pornografico a delle esperienze di nudo che sono dell’88, 89 quando avevo dodici anni ed avevo quest’esigenza osservando i disegni al tratto di mio nonno –che è stato allievo di Gino Meloni e di Arturo Martini, di tutti questi grandi, che fece l’I.S.I.A.- di fare quest’esperienza del nudo che era qualcosa d’irrangiungibile perché in quell’età è l’età critica in cui quello che si fa sembra non essere non essere appagante, quindi a dieci anni di distanza, altri nudi -velati per pudore-. Quel percorso che mi ha mosso, ed il riferimento sarà –per gli studi che condivido con il Maestro Stefano Cirino, frequentiamo entrambi Teologia- alla Madre di Dio che era infondo –e soprattutto- una donna che dall’umbratilità di questa carne è nato il Logos, il Verbo –ossia la Parola-, la parola più pura, quella più semplice. La Parola che non ha dimensione, non ha forma, ma ha la forma infinita del candore, ha la forma e la dimensione solo di un’essenza cangiante.

FUOCO
Continuando tutti i miei percorsi. I percorsi sono estremamente semplici per me che li ho fatti, sarà anche che in famiglia siamo imparentati con qualche concettuale, e allora mi sono un po’ sbizzarrito, in quest’arte concettuale. L’esperienza di questi percorsi è assai diversa: in alcuni vi è un percorso ben delineato, centrale, giorgionesco –come diceva il professor Crivelli- a struttura quasi classica, frontale –da reminescenza quasi di una antica perspectiva oculi-, in altri invece vi è la dimensione di percorsi “empatici” e lì mi è tornata utile la riflessione su Edith Stein, in modo particolare il suo studio sull’empatia e sui rapporti e ricadute a livello filosofico sulla comunicazione interpersonale su quella che è appunto l’Empatia. Per cui la riflessione nei miei segni cromatici, per anni mi son dedicato ai lessici dell’incomunicabilità monocromi (nero su bianco), su empatia, simpatia e trinità. Di lì le varie strade che mi hanno condotto sugli altri percorsi che si unificano, vivificandosi, mai massificandosi rimanendo ognuno nella propria identità, ma nella molteplicità delle differenze –che è in questa eterogeneità appunto- che ho inserito alcune esperienze di L50 che sono “Cafarnao”, questa marina “Il porto” ed “Il tutto e il niente”, illustrazione di una poesia di Carlo Invernizzi, noto poeta costruttore di u-topie –un po’ come Técne Art Studio- che ha tratteggiato in una sua poesia quello che è il tutto ed il niente (di mistica memoria spagnola il “todo y nada” di San Giovanni della Croce) dato un quadrato, un evolversi di spire. Un quadrato a delimitarci e delle spire che si fanno luce, si fanno spazio e che esplodono ed è la dimensione del tutto e il niente. I semiti parlerebbero di “dabar” perché in questo è dalla parola (il loro sitz im leben era più spirituale, la loro parola creatrice è la Parola, Dio, nel contesto semita delle origini, negli scritti della Torah).
Nelle mie esperienze che potrete osservare c’è il percorso; prima della mia definizione pittorica sulla Madre di Dio ci sono state delle esperienze sul “Big Bang”, su quel bereshit barah Elohim (che in ebraico antico vuol dire “in principio Dio creò”), e di formazione anche del pensiero successivamente la creazione. Lo sforzo mio è estremamente concettuale, ma estremamente semplice perché è anche del primitivo, l’esigenza di raffigurare l’invisibile e quindi il pensiero all’arte rupestre (la Lombardia è ricca di queste testimonianze, si pensi alla nostra Valle Camonica), all’alfabeto dei simboli. La prima forma di filosofia –ed insieme di arte e di scrittura- è stata la simbolica. È essenzialmente il minimo questa mostra e tutti quei segni sono essenzialmente il minimo di un’arte che è fare vita
Queste linee estremamente semplici che sono le linee, il punto, le superfici, di kandinskyana memoria.
Ringrazio tutti gli intervenuti, i miei professori, i miei allievi. Questo percorso espositivo tenta di rappresentare quelle molteplicità di discorsi che ognuno di noi può fare e che in un modo o nell’altro esprime. Per cui io apprezzo tanto il gesto rupestre molto semplice enigmatico che non vuole dirsi esprimendosi per concetti, ma per simboli. In queste tavole ho scoperto l’esigenza di dirmi attraverso le tavole –soprattutto anziché tele, supporto “antico” più delle mie origini-.
L’esperienza in me si è fatta più classica, medievale –si pensi alle pale del gotico internazionale o a stupende creazioni quali le “Maestà”, o alle iconostasi di bizantiniana meoria- a recuperare ascendenze della mandorla nella mia elaborazione di Theotokos ove il simbolo del Grembo Verginale di Maria è in quella forma: la mandorla, clipeata. Rivisitazione, saccheggiamento, mutazione della storia dell’arte, ascendenze direbbero i critici… Quella mandorla mi rappresenta la dimensione di quella parte sessuale che ha dato origine, per la tradizione cristiana, a quel Verbo di Dio che si è fatto carne come ci dicono le Scritture, o citando il Te Deum di Sant’Ambrogio, perdendoci per la vivifica e munifica tradizione Patristica, “non horruisti virginis uterum” ossia non disdegnò di farsi carne attraverso l’utero di una donna, che è Maria, e noi generiamo con questi tratti e queste tinte auree, ma che comunque era pur sempre una donna.

Vi ringrazio, soprattutto i miei conoscenti ed amici che si sono fermati, hanno ascoltato ma soprattutto tutte le persone "nuove" che hanno voluto scoprire la mia arte.

Grazie all’arte e all’osmosi qui generata, un ringraziamento anche all’Amministrazione Comunale di Bagnoregio ed in particolare al Sindaco, dr. ERINO POMPEI, e all’Assessore alla Cultura, al Professor Crivelli e alla presidentessa di Técne Art Studio.

Gli applausi sono per l’arte. Grazie!».

   
 
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