Vi
sono tre produzioni: il percorso mio più astratto, legato alla
Theotokos; quello più naturale, vedutistico, che si avvicina alla
Teologia Naturalis che conduce attraverso l’elemento Natura l’espressività
delle cose nella natura che è l’opera più bella e
tante volte quando sono più incredulo, la divinità me la
ritrovo lì, al di là del mio ciclo di Theotokos che rappresenta
un percorso più interno ed interiore della mia fede più
personale; ed in ultimo il cavallo esprime l’attesa, così
come mi sottolinea nella Sua lettera +Carlo Maria Card. Martini dichiarando
l’illustrazione della Sua Lettera Pastorale mediante i miei cavalli
dell’Apocalisse, nei cavalli esprimo perciò l’attesa
gioiosa del Cristo Risorto come nella Madonna del Sabato Santo.
Ora lascio la parola a Lei che ringrazio per la Sua partecipazione ed
il suo contributo critico».
Intervento di presentazione della Professoressa
GABRIELLA CATTANEO:
«A
nch’io direi che qui sono presenti tre aspetti riassuntivi dell’ultimo
periodo dell’arte di Alessio Varisco; ricordo alcune opere molto
giovanili (non che adesso non sia giovane), che partivano ovviamente dal
“veduto”, dal figurativo e che già, però, andavano
verso una forte componente espressionistica, che è sempre presente
sia nelle opere per così dire “astratte”, sia nelle
opere più recenti, ove Alessio è ritornato al figurativo:
il colore serve ad esprimere, forse più che uno stato d’animo,
proprio l’idea che è un messaggio di tipo teologico. In questo
senso le sue ”Theotokos” sono estremamente significative,
anche se il tema della Theotokos, con questa apertura che parte dalla
Creaturalità, dalla corporeità della Madre e che arriva
all’uscire fuori della luce, della Luce del Verbo; sono generalmente
giocate sui toni della Luce appunto, sui toni del bianco, dell’oro,
del giallo sino alle sfumature dell’arancio, quindi il significato
del “colore” è un “significato teologico”
ed è il significato della luce divina.
Dire che anche nel figurativo sia estremamente importante il significato
del colore, perchè, per esempio in questo “Grazie Umbria
terra dei nostri Santi” (una serie di questi figurativi nasce dall’anno
che Alessio ha trascorso nel Centr’Italia facendo molte mostre)
c’è un paesaggio di verde Umbria, ma c’è anche
l’ocra della terra, il rosso del tramonto e questo addensarsi di
luci cupe e di buio in alto. Direi che c’è un continuo contrasto
tra la luce ed il buio (Alessio riferisce di averlo composto a Rocca Sant’Angelo
di Assisi, tra ulivi secolari, durante l’eclisse di sole del ‘99),
tra terra e il cielo, tra le cose terrene e le cose divine. Io ci vedo
-ed è un po’ anche nell’intenzione di Alessio- la simbologia
alchemica; perchè nella simbologia alchemica la sublimazione, infatti
passa attraverso le tre fasi, che portano l’uomo dalla corporeità
alla spiritualità nella nigredo, rubedo, albedo; ci sono anche
l’oro, il punto estremo, la luce completa della conoscenza e il
verde che invece è il punto di partenza, più basso, l’erba.
Proprio il punto di partenza della terra. Questa è una mia suggestione
in cui ritrovo anche spesso il significato esoterico dei colori usati
da Alessio, in particolare l’oro.
Fermiamoci sui colori.
Colore particolare questo di Civita di Bagnoregio (paese natale di San
Bonaventura), poiché è un colore che Alessio ricava impastando
l’olio con la polvere della pietra del Subasio, la tipica pietra
rosa, caratteristica del Parco del Subasio e dei monumenti di Assisi,
Spello, ma anche tipica terra dell’Umbria (non certamente della
Tuscia viterbese ma come dice Alessio di rimando al Santo bagnorese che
fu Ministro Generale dell’Ordine Francescano e storico del Poverello).
Un
altro uso particolare del colore significativo, a mio parere, nelle due
immagini di “Assisi al tramonto”, che sono apparentemente
piuttosto simili, anche se diverse come tecnica; la più grande
è in parte “collage” (“pittocollage” lo
definisce Alessio - una commistione di due immagini al tramonto) e quindi
una differenza di luci. Lo schema è lo stesso, è uno schema
per fasce orizzontali che va dall’oscurità attraverso la
fascia rossa del tramonto contro cui si staglia il complesso assisiate,
al centro; però nell’immagine di maggiori dimensioni il cielo
è blu ed il tramonto è di un rosso sanguigno e il risultato
è che tutta la scena è molto più calda (Alessio diceva
“estiva”), mentre nell’altra il tramonto ha sempre toni
aranciati e sempre mescolati con il giallo, ma il cielo è turchese
con una componente verde piuttosto forte e quindi il risultato è
molto più freddo. Alessio parlava non solo del freddo autunnale,
ma anche interiore, nato da un suo disagio difronte a certe situazioni
che lo avevano fatto sentire freddo dentro.
Sicuramente oltre a questa componente del colore c’è anche,
soprattutto nella fase astratta, un’importante componente di tipo
grafico e in effetti nella prima fase dei pannelli della mostra Alessio
ha esposto anche alcuni suoi lavori grafici, o meglio alcuni suoi “Parlati”,
che rappresentano attraverso la grafica del nero su bianco, il concetto
della parola, dell’affermazione della “quaestio”, del
discorso attraverso il modo in cui sono disposte le linee nere su bianco.
Questo stesso senso della grafica, dell’importanza della linea,
si ritrova soprattutto nelle Theotokos ed in particolare nella fase astratta
in cui la linea non è linea nel senso di linea nera, ma è
il colore stesso, la pennellata, la spatolata o la ditata perchè
Alessio ha un forte senso del colore materico e anche del suo rapporto
fisico col colore che ama distribuire a grandi spatolate o addirittura
con le dita, in modo che la superficie del quadro risulta spesso piuttosto
“mossa”. Qualcuno di questi quadri, soprattutto degli ultimi
(si guardi “Dreamer”, un cavallo del gennaio 2000), ha addirittura
una fortissima tattilità dei grumi di colore (tecnica “Fauves”)
e qui è il colore che si dispone secondo delle linee significative,
che richiamano la matrice grafica della sua preparazione.
Ho
qualche dubbio sulla definizione “astratto”.
Qualche volta ho sentito Alessio usare il termine “concettuale”
che forse preferirei: è vero che è arte astratta poichè
“non-figurativa” ed è sicuramente espressionista. Il
debito di Alessio agli espressionisti è da lui riconosciuto, verso
l’espressionismo tedesco (Die Brucke), da lui chiaramente più
volte dichiarato, la sua dipendenza da Hodler; io ci vedo molto anche
Nolde in certi “forzati” chiaroscurali, però è
vero che è un’arte, quella di Alessio estremamente “concettuale”,
che vuole esprimere un’idea mediante il colore. Tra l’altro
non mi sembra casuale che i suoi modelli si riferiscano soprattutto agli
espressionisti astratti, in particolare all’ambiente del “Blaue
Reiter” perchè è l’unico movimento che ha una
fortissima, dichiarata e fondamentale componente di ricerca religiosa.
In un’arte del Novecento in cui l’artista singolo può
avere una ricerca religiosa, ma i movimenti generalmente no, nel gruppo
“Der Blaue Reiter” c’era questa forte componente religiosa,
che si esprimeva attraverso il colore e che direi è l’elemento
centrale dei significati che Alessio dà alle sue opere.
Poi siamo arrivati a quest’ultima stagione -diciamo- figurativa
in cui Alessio dipinge i paesaggi e i cavalli. E lui distingue il tema
dei cavalli da quello dei paesaggi, considerandolo un tema a se stante.
I paesaggi hanno tre fonti fondamentali: la Camargue, che è collegata
al suo amore per i cavalli, rappresentati anche nelle illustrazioni più
iper-realistiche, sempre con un’estrema attenzione alle razze, alle
posizioni, alle nari, allo sguardo, “sguardo” che Alessio
rende sempre “umano” -mi ricordo che una volta mi disse, mentre
osservavo ultimare un suo soggetto, “quando gli occhi son venuti
bene il quadro è a posto!”- proprio il punto di partenza
e/o di arrivo. In effetti ci sono due paesaggi di Camargue simili con
quest’effetto di contrasto tra l’idea di vegetazione ed il
rosso-bianco del cielo, in uno dei quali è inserito il cavallo
bianco, un crin blanc: quindi c’è già il collegamento
con il cavallo Bianco Trionfante dell’Apocalisse, che poi ritroviamo
come l’ultimo realizzato della serie dei cavalli dell’Apocalisse
per l’appunto. Ma le altre matrici del paesaggio sono l’Umbria,
già menzionata (significativa l’esperienza umbra per la pittura
di Alessio che la carica di significati spirituali), la suggestione delle
piane di cavalli bradi (il Piano Grande di Castelluccio di Norcia); e
poi la zona dell’Alta Engadina e di Santa Maria im Münstair,
tutta la zona che va dallo Stelvio alla Svizzera che ha dato luogo, dopo
le sue escursioni a paesaggi interessantissimi. Per esempio due paesaggi
in cui c’è una memoria segantiniana: il primo omaggio dichiarato
a Segantini, “Omaggio alla morte di Giovanni”, con il ricordo
vivido del Trittico della Vita e della Morte, in cui il paesaggio mostra
i colori estremamente cupi, con un rosa più che rosso, che sconfina
verso il viola, “insanguinato” (Alessio mi diceva “insanguato”)
a dar l’inquietudine: le montagne che vanno dal nero cupo in primo
piano, già in ombra, al rosa che rivela la luce del tramonto, un
cielo estremamente inquieto con pennellate verticali, in discesa, a suggerire
che sta nevicando e sta addensandosi la tempesta in alta quota; e l’altro
paesaggio direi con un chiarissimo e forte richiamo a Segantini è
questo bellissimo “dopo tramonto”. La luce è ormai
venuta meno, il cielo è appena rosato dietro le montagne di un
colore violaceo, però c’è il nero della foresta c’è
il bianco della neve e c’è la tempesta che si addensa. Qui
c’è un altro elemento fondamentale, la direzione della pennellata,
che serve a dare il senso, direi della staticità della neve e in
cui si incrociano delle pennellate orizzontali e verticali condensandosi
e quindi bloccando -secondo me- il paesaggio nevoso; invece ci sono le
pennellate quasi a ventaglio della foresta, che mi fanno pensare al vento
della tempesta, imminente, che sta già squotendo la foresta e poi
le pennellate ondulate trasversali, quelle delle nuvole, dei cirri che
si addensano e diventano cumuli, che fanno anche scurendo avvertire l’addensarsi
della tempesta stessa.
E in questo senso la direzione delle pennellata è significativa
anche per quanto riguarda la serie delle albe, e qui di albe ce ne sono...
Partiamo sempre dalla zona del Bernina, l’Alta Rezia; c’è
una continuità cronologica in quest’inizio di alba in cui
sul lago ghiacciato in primo piano si riflette il colore ancora molto
freddo della luce, la luce gialla che sta già aprendosi diagonalmente
a ventaglio da dietro le montagne, ma che è ancora di un giallo
freddo (infatti si mischia con delle pennellate che vanno verso l’azzurro
ed il turchese) e che diventa poi un’alba trionfale quando la luce
s’appressa e abbiamo una vera e propria esplosione, un vero e proprio
geyser di luce (entrambe le figurazioni sono del Malojapass) ed il giallo
cambia leggermente di tonalità e diventa un po’ meno freddo,
il turchese diviene più vivace, riflettondosi prevalentemente sul
lago di ghiaccio. Qui è importantissima la variante delle pennellate:
a geyser, a ventaglio quella della luce che irrompe, essenzialmente verticali
i riflessi della luce sull’acqua, mentre le spatolate sono quasi
invece bugnate e formano le montagne che sono solcate col metallo, con
una punta metallica che dà le caratteristiche di quello che altrimenti
potrebbe essere uno spazio uniforme e che diventa proprio una montagna
con le sue regolarità e irregolarità, quelle sue rocce affioranti,
forse anche qualche albero che affiora fuori, grazie a queste linee scure,
dalle neve, mentre queste altre linee scure sono graffite sul colore e
suggeriscono l’idea di un canneto in primo piano, al bordo del lago
stesso. Mi spiegava prima Alessio quest’alba è anche la sua
emozione del galoppo, quando ci si sente l’aria addosso, ed esprime
la gioia del suo stato d’animo che ha per così dire espresso
in questo potente geyser di luce. Io sottolineo, preferisco l’immagine
del geyser a quella dell’esplosione, perchè proprio dal basso
verso l’alto (a inseguire la ricerca della definizione della luce
nel Maestro Segantini, artefice del Divisionismo), non è sferico
il movimento, in tutte le direzioni, ma proprio del basso del Passo, più
in alto delle cime fino al cielo.
Ecco
qui c’è un paesaggio molto bello, la Chiesetta diroccata
di “San Gian a Schlarigna” verso Samedan (qui Alessio oltre
al golf riferisce la presenza di alcuni crin blanc scossi al prato, che
sicuramente devono averlo ispirato prima di compiere quest’opera),
che l’ha colpito per la presenza di questo laghetto dove, forse
per qualche sorgente calda, dice anche in pieno inverno, anche quando
tutti i laghi sono ghiacciati in superficie, la superficie è sempre
in movimento e quindi non si ghiaccia mai. E qui c’è un’interessante
ricerca dei cromatismi: lo stesso azzurro, direi quasi verso il lapislazzulo,
è quello del cielo che ha, apparentemente una campitura quasi omogenea,
non ha i soliti temporali che si addensano (che Alessio osserva, si emoziona
nel fotografare con le sue sensazioni), anche se sono evidentissime e
tattili le spatolate; quindi c’è una differenza tattile,
ma c’è anche una campitura cromatica abbastanza omogenea,
che schiarisce soltanto; ed è lo stesso colore che va a riflettersi
sui bianchi e gli azzurri chiari dell’acqua, che sembra formare
proprio dei gorghi e dei vortici, mentre tutt’intorno c’è
un trionfo dei gialli e verdi. Anche qui è di nuovo la direzione
della pennellata che ci consente di vedere più chiaramente le macchie
degli alberi, i larici che si stagliano, perchè in realtà
non vi è nessun disegno, nessuna forma contornata come tale, ma
la direzione della pennellata permette di cogliere tutti i particolari,
l’architettura dei vari elementi del paesaggio e della Natura.
E
poi si arriva ai cavalli dell’Apocalisse, quindi a questa sua ultima
impresa in cui abbiamo un cavallo rosso e un cavallo blu, entrambi cavalli
distruttori. Alessio li distingue, seguendo le pericopi dell’Evangelista:
il rosso lo chiama il “terremoto” che distrugge, la guerra.
In effetti il cavallo rosso presenta tutta una serie di pennellate, spatolate,
rosse che sembrano quasi uscire dal corpo dell’animale: apparentemente
sembrerebbe che il giallo dello sfondo si sia macchiato, ma in realtà
è il soffio e la bava sanguigna, questo soffio di morte che va
come a macchiare la luce del paesaggio circostante. Alessio poi mi faceva
notare che ha voluto dare una forma piuttosto anomala al galoppo di questo
cavallo in quanto ha dato una posizione anomala alle zampe, per cui la
parte posteriore del corpo sembra voler frenare e calciare esternamente
col posteriore destro, mentre la parte anteriore sembra voler andare avanti,
cavalcare e distruggere; e addirittura le due zampe anteriori sembrano
inciampare l’una nell’altra, quasi a ferirsi l’una con
l’altra, come se l’effetto distruttore che questo cavallo
rappresenta fosse rivolto per prima cosa contro se stesso. Ci fa notare
Alessio che chi distrugge in primis, distrugge se stesso.
Di là l’altro cavallo blu, il cavallo del colore dell’acqua
(Alessio fa riecheggiare la memoria dello “Sheol”, l’Abisso,
e carica la spatola di un linguaggio semitico profondo), ha soprattutto
delle ombreggiature ed uno sguardo terribilmente inquietante: direi che
qui il senso della distruzione non è dato dal moto, dal movimento,
questo è stanziale, anzi, si è persa forse la misura della
bilancia del Nero (il terzo nel libro dell’Apocalisse), può
dpendere da quello sguardo gran parte della misura mancante...
E poi c’è il cavallo della morte, il cavallo verdastro, il
cavallo colore della bile, che Alessio ha risolto con elementi di un giallo
freddissimo lumeggiato di verde e con qualche elemento di azzurro-nero-blu
sullo sfondo, il cavallo che per nome ha Morte: ha le nari molto dilatate,
ci guarda; è perfettamente frontale il muso del cavallo che ci
guarda con degli occhi vuoti, perchè in effetti l’occhio
è stato lasciato non finito. Si intravede il disegno al tratto
dove il bianco della tela emerge, inquietante non-finito: l’occhio
non è colorato, un occhio vuoto (la cecità per il mondo
semitico è una forma di morte). E’ indubbiamente un’immagine
fantomatica, depauperata, diceva Alessio della libertà, poichè
il cavallo è chiuso dentro nel box. E’ terribile.
Infine osserviamo il cavallo bianco del Cristo Trionfante, Vincitore.
Una soluzione, questa, in attesa di quella che sta preparando del cavallo
che irrompe. Anche qui direi che la scelta del cromatismo è originalissima:
viola e turchese. Due colori difficilissimi da accostare. Il viola nello
sfondo fa risaltare questa luminosità del bianco/turchese. Il viola
era stato usato in una delle immagini concettuali di Alessio, che a me
piace molto e che lui dice essere l’omaggio alla filosofa Edith
Stein: tante sfumature diverse, serene, pacificanti, mentre questo viola
dà un certo senso di angoscia. Alessio mi diceva che il fondo (viola)
è un rimando al telo intriso di sangue che sta -ci dice l’Apocalisse-
sopra il cavallo: Alessio lo ha fatto intorno, quasi aureola; però
su quella sembra vincere il cavallo luminoso che sorride; anche se il
termine umano sorridere è un po’ anomalo riferito a un cavallo
non vedrei come altro esprimere questa espressione che pare modificare
le linee del muso del cavallo stesso, sorride, ci guarda, (ci scruta,
si prepara al Giudizio dice Alessio). Anche qui le direzioni delle pennellate
sono fondamentali perchè la direzione è una curva, una curva
che torna su se stessa, sembra quasi volersi chiudere nel cerchio simbolo
divino per eccellenza. Invece la tattilità delle pennellate, ancora
per un gioco di spatole, è evidentissima; questa si che è
un’esplosione, perchè da dietro il cavallo in tutte le direzioni
questo viola sfregiato di nero, questo tentativo della morte di prevalere;
però il cavallo dice “non prevalebunt”.
Si
ritrovano ancora alcuni elementi di grafica che mostrano il percorso di
formazione, ancora gli elementi a cui avevo accennato prima del “parlato”,
ma si vede in questi esperimenti essenzialmente grafici come nasce l’idea
della Theotokos, in quella apertura che può essere anche una linea
serpeggiante che va avanti all’infinito: la nascita del Cristo,
che ha un inizio, ma va verso l’infinito. Tra questi studi grafici,
c’è una bellissima esplosione di puntini di sfere, che vanno
dal punto alla sfera, a costituire una costellazione vera e propria.
Vorrei concludere ritornando al mio discorso iniziale sulla forma. Fate
attenzione ai cerchi; i cerchi rappresentavano in Kandinsky, il cosmo,
le sfere cosmiche, ma anche l’esplosione primordiale, dove lo Spirito,
irrompendo nella materia, genera la vita; quindi torniamo all’espressionismo
astratto ed anche al suo significato religioso, che è portante
nella bell’arte di Alessio.
E ho solo seguito un “filo” della ricca pittura che ora vi
invito a guardare».
ALESSIO VARISCO
«Grazie Professoressa!
Grazie ai convenuti qui presenti intervenuti a questa inaugurazione
Un particolare ringraziamento al Priore Padre Andrea della Comunità
Monastica Cistercense Santa Maria di Piona, mi sento onorato di esser
ospitato in quest’Abbazia mariana»,
Priore della Comunità Monastica Santa
Maria della Pace di Piona:
«Grazie ad Alessio Varisco che espone qui una mostra su “Maria,
Madre di Dio”.
Grazie alla Professoressa che in modo mirabile ci ha introdotti ad una
lettura specifica di questa pittura così ricca di spiritualità
e suggestioni, sono veramente felice ed auspico pieno successo alla presente
esposizione».
Prof.
GABRIELLA CATTANEO
Docente di Storia dell'Arte Sacra alla Facoltà di Teologia
dell'Italia Settentrionale
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