Presentazione della personale
«Alétheia, Nostalgia dell'origine (Lavori in corso)»,
Centro Culturale Corsia dei Servi, MILANO
 NOSTALGIA DELL'ORIGINE
 
      NOSTALGIA DELL'ORIGINE
«
Signore 
      e signori, io sono lieto ed onorato di presentare anche questa volta una 
      personale di Teodolinda Varisco, in arte L50.
      Due parole: non a fare l’esegesi, non a fare la critica, non a fornire 
      la chiave di lettura di queste opere che non hanno bisogno di un’esegesi.
Ci sono 
      artisti del soliloquio, ci sono artisti del colloquio; e certamente la nostra 
      è una pittrice del colloquio.
      Il fruitore facilmente intuisce, facilmente si mette in sintonia con l’opera 
      che Lei produce, facilmente ne percepisce il messaggio. 
      Sono lieto ed onorato di essere ancora qui a parlare di L50 e l’esordio 
      è un po’ uguale, un po’ solito, leggermente e stancamente 
      retorico, sono qui perchè al di là degli esiti pittorici, 
      al di là delle valenze artistiche, in un mondo d’artisti come 
      quelli di oggi dove c’è un pochino di confusione, dove anche 
      chi non se ne intende trova motivo di dubbio, d’incertezza nella valutazione, 
      nella critica, non è facile trovare un’artista come la Pittrice, 
      la quale cerca nell’arte non tanto l’esito artistico, anche 
      quello naturalmente: Lei dipinge, crea l’opera d’arte col proposito 
      più o meno dichiarato ma certamente intrinseco di fare qualche cosa 
      di bello. Indubbiamente questo è un obiettivo della Pittrice, ma 
      la pittrice cerca soprattutto un’auto-gratificazione. 
      Diceva qualche minuto fa, può sembrare una battuta, può sembrare 
      uno slogan, “la pittura è vita”, e qualcuno lo dice come 
      slogan. Io la conosco da non molto, però in questo ultimo anno abbiamo 
      avuto più volte occasione di vederci, sono stato a casa sua, ho partecipato 
      a qualche mostra, molti dei suoi lavori mi sono ormai “domestici” 
      e per quel che riguarda la valenza tecnica, d’una tecnica che vedo 
      costantemente affinarsi, che vedo continuamente perfezionarsi -perché 
      c’è ricerca, c’è studio, perchè c’è 
      meditazione, perchè c’è soprattutto volontà di 
      ben fare-, ma quello che dico e lo dico soprattutto di questa donna, è 
      la passione. 
      La sua intanto è una pittura non tanto di visione, quanto -direi 
      io- di emozione. 
      Pittura di visione “vale” anch’essa. Venendo qua la rimproveravo 
      perchè dicevo: <<in questa Passeggiata nel parco, c’è 
      un tentativo impressionistico di cogliere “figura e natura”>>, 
      l’impressionismo ebbe molta attenzione alla natura, ma è lei 
      è piuttosto espressionista, perchè l’espressionismo 
      rivalutò fortissimamente il soggetto. Il pittore portava avanti, 
      se espressionista, questo tipo di discorso.
      “Non mi importa un’arte di mimesi, cioè di imitazione”. 
      Non mi importa di fotografare più o meno bene realisticamente la 
      natura che ci circonda. Non mi importa di fare un volto che anche psicologicamente 
      si adegui alla realtà della persona che sto dipingendo, importa invece 
      che la mia arte sia violenta, che lasci il messaggio, perchè io ho 
      delle cose da dire, tante, ho da rivelare il mio animo, ho da dire quello 
      che il mio animo pensa soprattutto nei confronti della società, nei 
      confronti di un mondo che alle volte va bene e meno bene ed il più 
      delle volte va male. L’arte diventava denuncia; l’arte diventava 
      richiamo, osservazione. L’arte si svincolava dalla realtà, 
      dal dato reale e per gridare -ricordiamo a questo proposito un certo pittore 
      MUNCH con un famoso quadro intitolato “Il grido”, “L’urlo” 
      a seconda di come desideriamo tradurlo-.
      L’arte deve saper gridare e che cosa adopera -quando l’artista 
      è un pittore- che cosa adopera per gridare? Il colore. 
      Ma quale colore? Il colore violento, un colore metallico, un colore forte, 
      un colore vivo, un colore penetrante, giocando poi un accordo contrasto 
      tra colori; ed il più delle volte è un contrasto forte, contrasto 
      violento.
      L’altro elemento, non sono molti gli elementi a disposizione della 
      pittrice, l’altro elemento è il segno. Colore e segno. 
      Segno marcato, segno forte, segno approssimato, non c’è bisogno 
      di stare a fotografare un volto od un palazzo o una situazione, basta far 
      capire che si vuole fotografare un palazzo, un volto, una situazione. Ecco 
      qualcuno dice: perchè?, ma quel volto forse poteva essere magari 
      esternamente più aggraziato, forse poteva essere più preciso 
      nei suoi elementi fisioniognomici. Ma al pittore espressionista poco importa 
      questo adeguarsi completo, preciso, ai tratti fisionomici. Il pittore non 
      fa il fotografo, il pittore anche quando segue delle tecniche iper-realistiche, 
      la fotografia è un’altra cosa... 
      Importa far vedere di quel volto quello che c’è nel cuore e 
      nella mente (e mi riferisco al ritratto del caro amico Don LUIGI SERENTHÀ 
      a cui davo del “tu” che è prematuramente ritornato al 
      Padre).
      C’è la pittura che accontenta gli occhi, l’iper-realismo 
      -guarda come è bravo ha fatto una natura morta ha messo un’ampolla, 
      una bottiglia, dell’uva, ma guarda come è bella, ma guarda 
      come è precisa quella pittura iper-reale-. 
      C’è una pittura che accontenta il cuore, c’è una 
      pittura che accontenta la mente, la ragione. La nostra è un po’ 
      ambiziosa, e la dobbiamo rimproverare, perchè vorrebbe elaborarci 
      una pittura che accontenta un pochino gli occhi , li dico per primi ma seguendo 
      l’ordine li dovrei mettere per ultimi, perchè la pittrice pensa 
      e vuol fare pensare. 
      Deve accontentare la ragione, il cuore ed infine e soltanto per ultimo gli 
      occhi. 
      Ho detto poi che il suo messaggio grida: “Signori da tanto tempo ormai 
      la pittura di visione ha lasciato spazio e campo alla pittura d’emozione, 
      abbiamo avuto tanto tempo di astrazione, di informale, siamo tornati mediamente 
      ad un 
      neo-figurativo moderno, speriamo che -questo è il discorso, questo 
      è il messaggio che lascio- al di là di accontentare gli occhi 
      forse c’è da portare avanti un messaggio”. 
      E prima Lei molto sinteticamente filosofeggiava, dottrinava e diceva: qualcuno 
      è partito dal “Miserere”, io voglio arrivare al “Te-Deum”. 
      
      Ma che cos’è il Te Deum? Un inno di Adorazione.
      Allora l’arte messa al servizio di qualche cosa, ed è una svolta 
      (Alétheia, il titolo).
      Perché coloro che sostengono un’arte pura non vogliono che 
      -CROCE non avrebbe avallato e accettato l’impostazione ed il genere 
      perchè l’arte doveva essere un’arte pura-, un’arte 
      messa al servizio di un ideale -quale che sia-, è un arte -il poeta 
      ha orato, l’orato è quello che si mette al servizio di un’idea 
      e questa idea. Questa può essere il marxismo, la religione cattolica, 
      può essere esser che volete. 
      La sua non è “Arte pura”, perchè se dice: Io faccio 
      la pittrice perchè penso di concludere con un Te Deum di ringraziamento, 
      di lode, etc. ecco che svela una meta, un messaggio ed un obiettivo. 
      Si può essere d’accordo o meno su queste tante impostazioni, 
      ma certo la pittrice merita parole di plauso e di simpatia, perchè 
      non nasconde determinati obiettivi, perchè fa sì che il suo 
      messaggio -quale che sia- è un messaggio con una forte valenza religiosa. 
      
      E voi mi direte: ma dove la trova la forte esperienza religione. 
      Se guardiamo quel quadro che ho citato prima -delizioso vi troviamo della 
      gente in un bellissimo sfondo naturale, una visione onirica, un ricordo-, 
      guardate che la valenza religiosa non consiste nel tema. 
      E’ chiaro che chi fa “Battesimo di Gesù al Giordano” 
      e dipinge “Le nozze di Cananh” parte da una scena biblica, parte 
      da una scena evangelica va nella pittura a tema religioso. 
      Non c’è però bisogno di prendere sempre e soltanto spunto 
      dalla Bibbia o dal Vangelo per fare della pittura religiosa. E’ il 
      sentimento, è la motivazione e l’obiettivo, è il fine 
      e cioè quello che L50 porta avanti qualunque sia il discorso che 
      noi troviamo. 
      Vediamo -per esempio là- il Ponte, è un quadro che io ho avuto 
      più modo di vedere. A parte che io che conosco un po’ la storia 
      dell’arte, vedendo un ponte e vedendo così i valori espressionistici 
      della pittrice -qui manifestati- penso a quella scuola tedesca nata nel 
      1905 a Dresda, “die Brüke”, il Brüke o meglio la Brüke 
      che in tedesco vuol dire “il ponte” (“la” Brüke 
      perchè in tedesco è femminile).
      Questa gente perchè aveva intitolato questa scuola “Ponte”?, 
      perchè il ponte doveva essere lo strumento, -il mezzo- per mettersi 
      in comunicazione con tanti, con tante persone, per portare avanti un discorso 
      di progresso, un discorso di realtà, un discorso di miglioramento. 
      
      Ecco il messaggio suo di allargare la cerchia di coloro che come Lei intendono 
      la vita -e quindi l’opera- con valore “religioso”. 
      Dicevano i nostri Padri, i benedettini “Ora et labora” 
      L50 dice Ora -e la preghiera è anche pittura, quando dipinge prega, 
      così come per i benedettini lavorare era come pregare, la giornata 
      doveva essere equamente divisa fra l’impegno lavorativo e la preghiera- 
      Ora, dunque, et pingi”. Prega e dipingi, diciamolo pure in latino; 
      perchè quando dipingi le tue motivazioni e i tuoi motivi sono portati 
      a questi allora sicché, anche se facciamo i fiori, anche se facciamo 
      un volto, anche se facciamo qualche cosa indulgendo ad una visione un pochino 
      informale dove quello che grida, quello che urla è soprattutto il 
      segno ma ancora più del segno il colore.
      Questo colore, ed io la prima volta che ho visto i lavori di L50 ho scritto 
      alcune cose dicendo “la pittura -dice qualcuno- è colore” 
      ed ho ricordato un grande vecchio che dalle nostre parti era famoso, GINO 
      MELONI, il quale diceva: “la pittura è colore ed il colore 
      è istinto”, passionalità aggiungo.
      Nei quadri della Varisco troviamo appunto oltre al segno marcato, forte, 
      espressionistico, troviamo questa validità cromatica: il colore! 
      Certo ci sarebbero molte cose da dire, ma io ho sempre la preoccupazione 
      di riuscire alla fine tedioso perchè parlare va bene ma la festa, 
      non è quando si va ad una mostra una festa degli occhi, certo è 
      la festa degli occhi e se invece ascoltiamo qualcuno finiamo per soddisfare 
      le orecchie. 
      La festa è degli occhi, questi lavori che vestono queste pareti, 
      fra l’altro ci troviamo in un luogo la cui sacralità ci dà 
      un’atmosfera consona, congrua col messaggio che traspare dalla valenza 
      religiosa delle opere della pittrice. Guardiamole queste cose.
      Lo dicevo prima anche perchè anche quando c’è nella 
      pittura qualche guizzo d’irrazionalità emotiva, vediamo qualche 
      dinanzi la quale qualcuno si potrà fermare dicendo: Cosa vuol l’Artista? 
      E si vede infondo un valore figurativo sotto, ma al di sopra c’è 
      l’accordo contrasto di colori: forti, caldi, blu notti violenti. Ecco 
      è una festa degli occhi, una festa per gli occhi. Si intravede l’elemento 
      figurativo messo in sottordine, messo lontano e poi invece viene fuori soprattutto 
      il colore. 
      Ecco mi avvio davvero alla conclusione perchè poi uno “si prende” 
      di fronte ad una molteplicità di elementi quali sono quelli che si 
      intravedono qui, non si smette più di parlare trasporti dalla capacità 
      cromatica dell’Artista. 
      Mi avvio alla conclusione augurando alla pittrice di avere anche da questa 
      mostra quelle soddisfazioni che giustamente pretende (poiché merita), 
      in un momento in cui c’è un po’ troppa confusione nell’arte 
      e molto spesso l’arte è mercificata, chi porta avanti un discorso 
      come L50 direi “ingenuo” perchè dipinge come autogratificazione, 
      perchè dipinge come autogratificazione: dipinge per pregare, dipinge 
      per trovare quell’intima soddisfazione, non per vendere i quadri che 
      poi magari delle volte si possono anche vendere.
      L’arte intesa con quella purità di cuore per cui diventa un 
      sacerdozio. Siamo in una chiesa, mi pare che il paragone sia giusto. 
      Auguriamo quindi successo anche a questa mostra e le auguriamo di continuare. 
      
      Spesso le soddisfazioni potrebbero essere anche maggiori, ma accontentiamoci 
      per chi ritiene che l’arte sia un “sacerdozio” e sia autogratificante. 
      
Continuiamo 
      a lavorare pensando di renderci col nostro lavoro quotidiano sempre più 
      meritevoli, sempre più degni di metterci un certo giorno a cantare 
      quel Te Deum del quale attendiamo l’interpretazione della pittrice. 
      
      Grazie infinita, io vi saluto e alla prossima mostra!»